domenica 14 aprile 2013

Gatti e bambine

Oggi pomeriggio è successa una piccola cosa che ci terrei a raccontarvi.

Stavo tornando a casa con TheMan che mi riaccompagnava quando, alla fermata dell'autobus dietro casa mia, vediamo una bambina che gioca (o almeno ci prova) con un gattino randagio.
Io, amante dei gatti e di solito causa involontaria di pianti e strilla di bambini, mi accovaccio ignorando il secondo fattore, avvicino piano la mano al muso del gatto. Prima la annusa e poi ci si strofina la testa.
Comincio ad accarezzarlo destando la meraviglia della bambina, che comincia a trotterellarmi intorno finchè non mi si mette vicino e mi urla "ciao!", per poi abbracciarmi, sotto lo sguardo divertito dei genitori.

Durante questo gesto dolcissimo, alzo la testa a guardarlo.
Mi guardava ridendo piano, socchiudendo gli occhi azzurri e chinando leggermente il capo; rideva come si ride delle cose belle, di quelle cose semplici che un po' ti fanno capire che sì, dai, questo mondo non fa così schifo e alla fine ci si può anche vivere, e che queste piccole cose possono essere anche quelle parole che spaventano perché sono vere e ci spaccano a metà, ci rendono vulnerabili, fragili, bambini, e che proprio per questo sono importanti e non più solo parole.
Che poi non è vero che le parole sono solo parole.
E queste parole per me adesso sono la mia peggior paura, la mia più grande debolezza.

"Ti prego non partire non è mai rimasto nessuno e io ho bisogno di qualcuno che si prenda cura di me che da sola non ce la posso più fare, e ti prego non andare anche te via, non lasciarmi qua anche te".

Nessun commento:

Posta un commento